Massimo Orlandi, giornalista

Biodiversità. La prima volta che questa parola è entrata nel mio lessico è stato nel 1993. Ricordo bene la circostanza. Ero da poco diventato l’addetto stampa del Parco Nazionale delle Foreste casentinesi appena costituito, e mi chiedevo, da buon giornalista, come riuscire a valorizzare le peculiarità di quell’area protetta. Giuseppe Baldini, compianto dottore forestale e dirigente di quell’area, alla mia domanda su quale fosse il patrimonio esclusivo e irripetibile di quel territorio non mi rispose ahimé, indicandomi una rara specie di animale selvatico, un orso, una lupa, qualcosa che potesse penetrare nella sensibilità di chiunque in maniera dirompente, ma usò, appunto, quella parola: biodiversità. All’epoca non la si usava né aveva grande appeal, di sicuro non avrebbe reso allettanti i miei comunicati stampa. Però non la dimenticai, associandola per di più all’amico che sarebbe scomparso prematuramente poco tempo dopo. Negli anni ho imparato meglio a capirla e ad apprezzarla.

Biodiversità voleva dire che, per una serie di congiunture geografiche, fisiche, naturalistiche in quel parco c’era una varietà meravigliosa di specie vegetali e animali, voleva dire che in quel luogo gli ingredienti della natura sapevano stare insieme, che ciascun essere trovava il suo spazio e la sua libertà. E tutto questo lo potevi capire e vedere solo con uno sguardo attento, solo percependo la differenza fra le specie, solo sapendo individuare con cura tutte le componenti di quel respiro di verde chiamato foresta.

Non ho saputo approfondire il linguaggio della biodiversità forestale. Non era la mia strada. Nella vita mi sono però dedicato, professionalmente e umanamente, alla biodiversità umana che è la stessa cosa. Cogliere le specificità di un tratto umano, raccontare il suo percorso di vita unico, provare a leggere il valore della sua diversità significa imparare a respirare la vita esattamente come ci fa respirare la foresta attraverso la varietà delle sue componenti.

Ho dedicato e dedico tutta la vita agli incontri, a viverli, a condurli anche pubblicamente, a raccontarli, perché in ciascuno di essi mi piace provare a individuare quel tassello unico del mosaico meraviglioso della vita e anche perché ogni incontro parla di me, si rivolge a quella parte di me che conosco meno; perché la biodiversità umana è proprio questo: è sapere che la diversità di ciascuna vita non è esterna a me ma mi riguarda, mi include. “Ogni vero vivere -diceva Martin Buber- è incontrare“. E’ proprio così.

Massimo Orlandi (giornalista)

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