In Yoga di Emmanuel Carrere ho scoperto l’esistenza di una parola che non avevo mai sentito, un termine sanscrito: vritti. Indica quel lavorio della mente che oggi si è fatto più fitto e continuo. Vritti è ciò che disturba la mente, che non lascia in pace la mente, è il vortice che attrae la mente. Sono onde, correnti, increspature, schiuma, fluttuazioni, effervescenze, gorghi, risacchi, bolle. La città dove oggi abito e lavoro è traversata dalle vritti. I volti di chi incrocio per strada sono contratti, in allerta, perché la mente non cessa mai di lavorare.
La mente lavora anche quando non si è alla scrivania, sul luogo di lavoro, in azienda o in redazione, ma in bagno di fronte allo specchio o seduti a discutere con qualche amico in un dehor. La mente copia, incolla, taglia, sceglie tra ciò che è utile e ciò che non lo è, sposta, fotografa, salva, elimina. Sospetto che vritti sia anche il testo che sto scrivendo, la digitazione di caratteri divisi da una certa interlinea su un file Word, gesto che devo aver preferito all’inerzia o a una corsa al mare in bicicletta…
(Ivan Carozzi Fine lavoro mai. Sulla (ins)ostenibilità cognitiva del lavoro nell’epoca digitale, pag.8)