“Filantropia e relazioni con il Terzo Settore”

La necessità di un cambio di paradigma

Per comprendere l’urgenza di un cambio di paradigma di questa portata, è necessario osservare come alcune pratiche filantropiche tradizionali penalizzano il settore non profit: finanziare attività progettuali escludendo o riducendo al minimo la copertura dei costi di struttura, per esempio, non favorisce lo sviluppo di questi enti, né la realizzazione della loro mission. In Italia, il fenomeno è profondamente connotato anche dal punto di vista ideologico, che presuppone che il Terzo Settore debba “costare poco” e che addirittura vede in questo disinvestimento strutturale un indicatore di efficienza e di serietà .

I limiti dell’impostazione tradizionale 

La “svolta strategica” che ha investito il mondo filantropico dagli inizi del ventunesimo secolo ha spinto le fondazioni a stabilire obiettivi chiari e a misurare i risultati ottenuti. Il processo che ne deriva è fortemente top-down: le fondazioni individuano gli outcome che intendono generare e le modalità con cui sarà verificata l’efficacia, e chiedono alle organizzazioni beneficiarie di dimostrare di aver raggiunto i risultati previsti.

In questo modo gli enti filantropici mantengono una “posizione dominante” nell’individuare i fenomeni sociali su cui concentrarsi e i cambiamenti auspicati, mentre le organizzazioni risultano monitorate per legittimare l’azione delle fondazioni che le sostengono: attraverso metriche e KPI (key performance indicators), ciascuna fondazione misura la performance dei propri beneficiari e, aggregando i risultati ottenuti da questi ultimi, deriva l’impatto generato dalla fondazione stessa.

La misurazione della performance delle organizzazioni del Terzo Settore, inoltre, appare poco equilibrata anche sotto un altro profilo. Le modalità tradizionali con cui le fondazioni filantropiche sostengono questi enti, ovvero il sistema dei bandi per il finanziamento di progetti, secondo diversi osservatori hanno prodotto organizzazioni deboli, in concorrenza fra di loro, gravate dagli oneri di rendicontazione e di reportistica (inclusa quella relativa al monitoraggio e alla valutazione), nonché perennemente dipendenti dalle fondazioni stesse.

Date queste premesse, il potenziale di cambiamento del Terzo Settore risulta esplorato solo parzialmente, e rischia di non essere colto da pratiche valutative miopi che guardano solamente ai risultati raggiunti dai singoli progetti anziché ai più ampi processi innescati. Per questo, gli enti filantropici dovrebbero promuovere il rafforzamento strutturale del Terzo Settore attraverso un sostegno diretto alle organizzazioni e alle loro mission, flessibile e non vincolato a specifiche attività progettuali, che preveda strategie di valutazione più eque e orientate a cogliere il valore generato.

Apprendimento

Di fronte alla complessità dei fenomeni sociali sui quali ci si propone di intervenire, le fondazioni sono invitate non a individuare strategie proprie, ma a supportare quelle individuate dal Terzo Settore. Possono farlo mettendo a disposizione le proprie capacità (finanziarie, ma anche di leverage, comunicazione, capacity building, advocacy, match-making, etc.) e, soprattutto, gli apprendimenti acquisiti e le conoscenze maturate nel tempo. Analizzando opportunità, bisogni e dinamiche (domandandosi, per esempio: “Quali capacità il sistema ha bisogno di sviluppare per accelerare il cambiamento che auspica?”), le fondazioni possono raccogliere e condividere dati utili per supportare le comunità a perseguire il cambiamento da esse ricercato (per esempio, chiedendo alle organizzazioni di definire, all’inizio della collaborazione, ciò che per loro costituirebbe il successo dell’intervento, e impostare di conseguenza il monitoraggio e la valutazione).

Impatto

L’illusione di poter misurare l’impatto prodotto da un singolo intervento finanziato su un sistema complesso attraverso metriche stabilite a priori dal finanziatore suggerisce alle fondazioni di adottare una prospettiva più ampia, sistemica, che dia voce ai diversi stakeholder circa la definizione e la valutazione dell’efficacia dell’azione. Nel concreto, le fondazioni possono sviluppare una teoria del cambiamento community-based, considerare periodi temporali più ampi (5-10 anni) per la valutazione dei progetti, adatti a osservare trasformazioni complesse, ed evitare di attribuire il cambiamento o il mancato cambiamento a singoli finanziamenti o enti beneficiari.

Perché immaginare un nuovo approccio alla valutazione è fondamentale per la filantropia

Storicamente, le pratiche di valutazione portate avanti dalle fondazioni nascono per documentare i risultati, l’efficacia e l’efficienza (rispetto ai fondi investiti) dell’azione filantropica, e attribuiscono l’onere di tale documentazione ai beneficiari che portano avanti le attività finanziate. Tenere a mente le radici storiche e politiche della valutazione significa ricordare che essa rappresenta un modo per “determinare il merito, il valore e l’importanza delle cose”. Pertanto, è rilevante interrogarsi su chi abbia il potere di determinare i contenuti delle domande (che cosa è necessario indagare per valutare un intervento) e i criteri per valutare le risposte (quale risultato costituisce un successo e quale no): un potere per lungo tempo concentrato solo nelle mani di coloro che dispongono delle risorse per finanziare progetti e programmi di intervento.

Attualmente il recente impulso a orientare la valutazione in campo filantropico all’equità, alla diversità e all’inclusione si interroga su come la valutazione possa accogliere le prospettive multiple delle organizzazioni e delle comunità, rispondendo al tempo stesso alle esigenze strategiche e programmatiche delle fondazioni. In altre parole, l’ambizione è quella di passare dalla valutazione “su qualcosa” alla valutazione “per qualcosa”: per raccogliere informazioni significative e utili, per aiutare tutti i soggetti coinvolti a prendere decisioni, e per condividere gli apprendimenti all’esterno facendone patrimonio conoscitivo comune.

In tal senso, la valutazione può assumere un ruolo determinante nell’assicurare che le partnership (tra fondazioni filantropiche e organizzazioni del Terzo Settore) e le comunità (cui gli interventi realizzati dal Terzo Settore sono rivolti) partecipino equamente alla produzione della conoscenza, valorizzando il punto di vista di ciascuno: l’esperienza diretta dei membri della comunità, l’expertise maturata dalle organizzazioni che da tempo lavorano in un dato settore, e lo sguardo esteso di cui godono le fondazioni.

In un contesto sociale attraversato dall’incertezza e dalla complessità, infatti, gli enti filantropici continuano a ricoprire una posizione privilegiata, in quanto detentori di vari tipi di capitale (economico, umano, relazionale, reputazionale) da cui deriva un potenziale strategico e conoscitivo unico, che consente loro di sperimentare, apprendere e avere una visione più ampia rispetto ai confini delle singole organizzazioni. Anziché considerare la valutazione come un mezzo per controllare le performance degli enti non profit, le fondazioni hanno la possibilità di sfruttarla, per sé e per gli altri attori dell’ecosistema filantropico, come un’opportunità di apprendimento e di adattamento strategico, supportando un cambiamento più incisivo e contribuendo a una pratica filantropica più equa e giusta.

Condividi

Altri interventi