Al centro si erge la palazzina, il tempo l’ha segnata ma conserva ancora una sua dignità e eleganza. Questo era l’edificio dove stavano i medici, gli amministratori e, credo al pianterreno, ci fossero anche le cucine. Intorno altri piccoli edifici, come in una giostra, in questi venivano ricoverati i pazienti più calmi, quelli che davano meno fastidio. Poi, in un girone sempre più ampio, si individuano in lontano le palazzine dei gravi, dei pazienti che pazienti non lo erano, di quelli agitati, urlanti, da fermare, immobilizzare, ridurre al silenzio. E in questa giornata di novembre, io quelle urla le sento, mentre insieme a un amica visito per la seconda volta questi luoghi.
Sono al vecchio ospedale psichiatrico di San Salvi, mi aggiro fra le costruzioni preda di una profonda eco della consistenza del dolore. La voce della guida mi arriva distante quasi attraverso una nebbia che assorbe e disperde. Poi il risveglio. Entriamo in un ambiente che è un esplosione di forme, colori, storie. E’ il centro di attività espressive “La Tinaia”. Qui arrivano persone con difficoltà di tipo psichiatrico, che attraverso il linguaggio artistico, percorrono un viaggio riabilitativo. Ci si trova immersi in una ragnatela di forme originali, distorte, gravi, melodiose. Ombre, colore schizzi come sangue, occhi che guardano al di la dell’orizzonte, creatività che canta. Un luogo dove la diversità si fa arte, linguaggio, creatività, ricchezza, amore, dolcezza e cura.
In quelle opere, finalmente ho percepito l’acquietarsi del dolore.
Daniela Bencini, educatrice e poetessa