‘Donne e buoi dei paesi altrui’ è il proverbio che ho coniato per descrivere la mia genealogia. Genealogia che è il frutto di un fritto misto del Mediterraneo: la nonna paterna sarda, il nonno paterno pugliese, i nonni materni lucani ma trasferiti in Campania così da sentirsi napoletani. Mio babbo ha sposato una lucana-napoletana e io ho sposato Ida che è nata in Piemonte da mamma piemontese e babbo lombardo, le mie figlie, grazie ad innesti toscani e siciliani, ci hanno dato tre nipoti che, nati a Siena, si considerano toscani. Si dice che gli scambi, i trasferimenti del ceto dei dipendenti pubblici quali siamo stati mio nonno, mio padre e io abbiano formato e mescolato l’Italia. Quanti maestri e maestre sono stati protagonisti della cultura di comunità che non era la loro. Ma ogni persona è una storia, le memorie e le culture si mescolano in continuazione, possono essere tradite e ricreate, abbracciate e allontanate. Mio padre, agronomo, diceva per il mondo vaccino che l’incrocio, migliora la razza e, senza volerlo, questo principio lo ha applicato anche a sé. Ogni individuo è una grande mistura non riconducibile a leggi generali. Le statistiche ci dicono che facciamo meno figli. Spesso un nuovo nato rimane figlio unico e non saprà mai cos’è un fratello. una sorella, un cugino.
Questi nuovi scenari, in cui i nuovi nati sono pochi e dove si vive più a lungo ci cambiano. Si dice che è l’epoca dei nonni: i nonni sono ora così diversi da quelli che avevo io. Nonno sono anche io. La televisione, i social, il web cambiano la percezione del tempo e dello spazio. Tutti i giorni ci addestriamo a nuotare in nuovi mari. Leggendo Amitav Gosh ci rendiamo conto di quanto l’Occidente ha distrutto il resto del mondo e diverse forme di vita complesse, per far crescere la civiltà del mercato e del denaro. Leggiamo storie di migranti e capiamo come sono diversi da noi: hanno avuto il coraggio di partire a rischio della vita e, anche per responsabilità nostra, si sono trovati relegati ai margini. Sono persone tanto simili a noi ma portano su di sè il segno di ferite profonde. Continuiamo a vivere in una tempesta di variazioni individuali, di gruppo, di generazione. Possiamo inventare nuovi futuri con i diversi passati. La cosa che mi manca di più in questa polifonia in continuo mutamento è l’essere di nuovo insieme tra diversi per fare cose comuni con lo scopo o almeno il sogno di rendere il mondo meno inospitale e più aperto alla speranza per le generazioni che abbiamo privato di molte potenzialità di futuro.
Pietro Clemente, antropologo