Osservo dalla finestra di casa mia il cielo dell’estate, gli uccelli che cercano un pò di refrigerio, l’antenna satellitare del dirimpettaio che si mescola al rumore delle cicale. D’estate mi regalo un pò di tempo per me, un tempo anche per rimettere ordine tra le cianfrusaglie di casa o recidere alcuni degli attaccamenti con oggetti accumulati negli anni. Oggi aiuto mia madre a buttare una grande quantità di fogli della sua carriera di commerciante. Ad un tratto esclama: “Ecco la mia vita che in un attimo viene rovesciata in un cassonetto della spazzatura”.
Rifletto sulle storie e sulla vita delle persone. Su quanto abbiano da raccontare, su ciò che si cela perfino dietro montagne di registri di cassa scritti a mano negli anni Novanta. Se penso alla mia vita alla soglia dei 50 anni mi accorgo di aver combattuto (e di continuare a combattere) gran parte del mio tempo contro gli stereotipi, quelle strutture culturali che ci imprigionano dentro caselle che ci vorrebbero tutti uguali: ci combatto nella vita privata (perché “il privato è politico”), nella vita lavorativa, nelle passioni. Ogni giorno in classe con bambine e bambini che aspettano con trepidazione le proposte della giornata, ogni giorno nel mio studio mentre ascolto chi si siede sul divano verde in cerca di aiuto, nelle relazioni, nella scelta dei film e degli eventi culturali che organizzo con la mia Associazione. Questa lotta parte dall’ascolto e dalla proposta di storie: storie vere, spesso anche scomode, storie che parlano e odorano di catrame o di lavanda, oppure di entrambi. Senza le storie, nessuna uguale all’altra, senza la diversità ammaliante di ognuno/a di noi, come potremmo cambiare punto di vista? Come potremmo maturare, arricchirci, guardare nuovi orizzonti? Questa per me è la biodiversità. E anche se ad un certo punto tutte le nostre cose finiranno in un cassonetto della spazzatura, magari la nostra vita l’abbiamo raccontata a qualcuno, o qualcuno la racconterà.
Mila Baldi, psicoterapeuta e insegnante